L'ambiente della ricerca musicale trova affinità con certa investigazione volta a smascherare, a setacciare - nell'intuitività e negli inviluppi di nuove linee che rendano meno marcati certi confini - i preconcetti e le classificazioni di una forma mentis già troppo adusa al classico, falcidiata da tabuizzazioni e senso comune. D'altronde, Schonberg dopo gli anni Venti, decretò nuove concezioni di rilettura musicale, cui avrebbe fatto seguito un cromatismo di dodecafonie con - per effetto - nuova vita all'esasperato stereotipo pre-Rivoluzione Industriale.
Affacciandoci su scenari post-Rock e, per certi versi, post-rivoluzionari, si possono trovare interessanti terreni ubertosi, sperimentazioni tendenti a cromatismi nuovi, sia per la scelta della strumentazione e sia per la predilezione dei luoghi, dell'acustica, dei timbri e di tutta la sinestesia applicabile. I risultati sono sorprendenti e tutt'altro che prevedibili, come sapientemente dimostrano i veneti Ginah, nel loro secondo Album, "Meccanica", prodotto dall'etichetta indipendente Garage Records, in uscita a marzo e già disponibile all'ascolto qui.
"Meccanica" è un album strumentale che ricalca, pedissequamente, le orme del precedente "Sorry for the delay" (2014), viaggio psichedelico, onirico e minimalista della Band, alla volta dell'immaginario, con uso sapiente e certosino del delay, dei sintetizzatori e dell'acustica, ricercata, in questo nuovo lavoro, all'interno di una falegnameria, come già affermano i tre componenti:
"Questo disco nasce da un esperimento. La nostra sala prove si trova all'interno di una falegnameria, un piccolo spazio che ci siamo ricavati costruendo delle pareti di legno, uno spazio dove ci ammassiamo noi ed il nostro suono. Un giorno ci siamo detti, perché non portiamo gli strumenti in mezzo alla fabbrica, tra i macchinari per la lavorazione ed il taglio del legno, la verniciatura, le cataste di materia prima, gli aspiratori, gli attrezzi ed i calendari? Ci mettiamo belli larghi, distanti l'uno dall'altro, sfruttiamo lo spazio e liberiamo il suono, lo lasciamo correre per l'ambiente, lo facciamo rimbalzare. Registriamo in presa diretta tutto quello che viene fuori e se ci piace ne facciamo un disco, se no è stato bello lo stesso, almeno per l'esperimento. Così abbiamo fatto, ci è piaciuto il risultato perché ci è sembrato che nella sua semplicità cogliesse l'essenza della musica che suoniamo. Per questo abbiamo deciso di condividerlo in questo lavoro. Speriamo vi piaccia, altrimenti pazienza.
"Meccanica" è un album collegato alle cose terrene, al territorio in cui viviamo perennemente in conflitto tra natura rigogliosa, silenziosa, magica e zone industriali operose, vuote, fredde. Dopo aver immaginato luoghi lontani e forse inesistenti ed aver viaggiato nello spazio ci siamo fermati qui, nei nostri luoghi cercando il semplice, il dettaglio non indispensabile".
Apre l'Album, che si compone di cinque tracce, "Primavera", complessa nel suo intreccio di influenze per cui si avverte subito l'affinità con Sigur Ròs e Godspeed, per poi dare ampio spazio a "Rudy", dove il sound, certamente più ruvido e carico di timbriche, presagisce alla qualità e alla quantità di materia tirata in ballo in così poco spazio. La riprova di quanto appena detto lo fornisce "Meccanica", terza e stupenda traccia che, per il sottoscritto, potrebbe accostarsi a monoliti come il fantastico Lateralus dei Tool. L'uso del piano, già presente in "Meccanica", s'impone magistralmente in "Agesilaus" che, in un crescendo di grancassa e tasti, compone la quarta parte dell'Album. Il finale, si completa con l'ascesa di una "Polvere" che, in ben quattordici minuti di musica, riesce a mescere i Pink Floyd con una multi-sequenza di raffigurazioni ataviche, di eidos e memoria talmente interessanti da focalizzare l'attenzione di un orecchio alla ricerca del nuovo, del vecchio e del trascendentale.
"Meccanica" è un viaggio che attira, i Ginah risultano interessanti all'ascolto, anche se focalizzati su un genere complesso e di nicchia, non apprezzabile dalla massa ma che, certo, meriterebbe più visibilità. La formazione si compone di tre amici, Michele Botteon (chitarra) Ralph Rosolen (piano, rhodes, synths) e Dario Lot (batteria). Hanno mosso i primi passi suonando nei locali della zona e ottenendo l'apprezzamento di un pubblico colto ed esigente. Si sono esibiti sul palco del CSO Rivolta di Marghera e hanno partecipato a diversi festival della zona, come il Rock at'Tarz. Hanno aperto il concerto degli americani "This Will Destroy You" e hanno suonato all'Home festival di Treviso, sul palco della Go Down Records.
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