Riflettevo sulla questione "fiera del libro", nella fattispecie su quella di libro inteso come mero oggetto di vendita, poiché l'editoria, come spiega bellamente la descrizione della "Fiera del libro di Torino", è questa: "Nella nostra epoca di comunicazione elettronica istantanea, l’editoria è ancora un business alimentato da una passione per i libri e per le relazioni personali. Questa è rimasta una costante, anche con le nuove opportunità che gli ebook danno agli autori e agli editori, ed è parte del motivo per cui l’editoria è un’arte più che una scienza". Appurato si tratti di business, è necessario
comprendere per chi l'editoria sia un business e a chi tali business editoriali e fiere del libro possano giovare. Una fiera del libro dovrebbe essere un luogo dove editori, scrittori e lettori s'incontrano per comprare o vendere l'oggetto libro o per sondare le novità del momento. Sarebbe il caso di porsi il problema se a un editore convenga o meno portare la propria produzione, poiché ingresso e allestimento di stand non sono certo gratuiti, questo senza considerare i costi per spese di viaggio, vitto e alloggio per tutta la durata della fiera. Similare il discorso anche per gli autori, sebbene cambino le modalità e i costi. Il guadagno è dato dal ricavo meno la spesa e certamente le spese indicate sopra non sono sostenibili per tutti. È anche vero che le piccole realtà vengono spesso fagocitate dalle major che, a parità di visibilità possiedono una maggiore credibilità, questione che va a traslarsi anche agli autori delle rispettive case editrici. Altro problema, non meno importante, è l'affluenza. Quanti sono i lettori? Cosa cercano in una fiera del libro? Domande che forse, un editore con una minima conoscenza dell'imprenditoria, dovrebbe porsi e che troppo spesso non fa, specialmente tra le piccole realtà. La domanda principale resta: "a chi conviene allestire la fiera del libro?". Non a tutti gli editori, i quali dovrebbero essere in grado di guadagnarci in stima, visibilità, conoscenza; non a tutti gli scrittori, figure cardine del panorama editoriale, che dovrebbero quantomeno conoscere il proprio editore, oltre a saper interfacciarsi con i potenziali lettori. Il lettore ha la facoltà di scelta e, che sia per forma mentis o per reale approccio con generi, edizioni o scrittura, essi tendono quasi sempre a preferire i grandi nomi ad uno sconosciuto. Secondo il mio parere, molti tra gli scrittori, specialmente quelli provenienti dalla piccola editoria, non hanno la minima idea di come funzioni il mercato del libro o non si pongono totalmente il problema e poi, vuolsi per ipertrofia dell'ego, vuolsi per inesperienza, restano invenduti, con una bella esperienza, forse o forse no, ma sempre invenduti e con tanto di spese di viaggio, vitto e alloggio da pagare. Forse avrebbero venduto più copie ad amici e parenti, semplicemente standosene a casa, evitando anche di alimentare quella visione ristretta di marketing del libro o di ego dell'autore. Un libro dovrebbe tornare ad essere uno strumento in cui canalizzare delle idee, non un oggetto da esposizione.
Naturalmente le mie considerazioni sono prive di sussiegosa alterigia e non hanno la prosopopea di fare del moralismo, ché esse potrebbero non rispecchiare la realtà o la totalità dei fatti. Sono null'altro che considerazioni che ho voluto condividere e, perciò, come tali vengano prese, con le dovute pinze. Sarebbero gradite delle riflessioni sull'argomento, nei commenti. Grazie a quanti vorranno farmi partecipe delle loro idee.
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