venerdì 10 marzo 2017

"Terra bruciata di mezzo - fra Vespero e Lucifero" di Mirko Servetti (Matisklo Edizioni) - Di Marco Nuzzo

Una premessa: ogni nesso di casualità che leghi un evento a un determinato osservatore, si discosta per logiche di prospettiva, talvolta esse stesse relegate in un determinato ambito o settore di competenza, che ne limitano il discorso. È pertanto necessario uno studio, sconfinando dalla propria percezione, distaccandosi il più possibile da categorizzazioni che possano in qualche modo inficiare la scientificità del phainomenon. Si potrebbe parlare, mutatis mutandis, di relativismo conoscitivo o, pirandellianamente, d’incomunicabilità e soggettivismo che pone in essere certa inconcludenza nelle pratiche del discorso, propendendo per la retorica che, nel falsare e falsificare l’evento, riesce facilmente a convincere attraverso il sillogismo aristotelico, rimarcando ed evidenziando l’inconfutabilità di certo scibile. Volersi addentrare nella tana del Poeta, in certo usus scribendi caratteristico di precisate fasi di vita e moti e luoghi di pensiero, potrebbe verosimilmente rivelarsi un’insolita utopia che dà la possibilità al settore “critico” di esplorare determinate stanze a tenuta stagna e che divengono congeniali più al recensore, che al poeta stesso.  Si finirà quasi certamente ad alimentare quel bisogno di egotismo personale, sino a far luce su se stessi, dimenticandosi quasi dello scrittore o del poeta.
     Credo e ho sempre ritenuto che la poesia meriti un discorso a sé stante, quando parliamo di recensioni, come un discorso a sé stante meriterà un poeta o, per meglio definirlo, l’uomo-poeta che si addentri nel percorso poetico. Fatto salvo lo stile, tipicamente decorativo, diviene necessario addestrarsi a certi luoghi, attenendosi il più possibile all’idea originaria, al dire, alla significazione. Ecco perché trovo tautologico e alquanto inutile fossilizzare la propria critica su quel che un poeta o uno scrittore sia in grado di trasmettere attraverso la bellezza dei versi, la musicalità e il ritmo. Alla fine dei giochi resta il dire, la rimanenza è solo un affastellarsi e ornare di corone e ghirlande, puro esercizio utile forse più a un uso musicato della poesia; ma cos’è il dire poetico? Il dire poetico è un confine, è quella linea ove l’innominabile può nominarsi e prendere forma nella parola-pensiero e che può definire scientificamente quel dato fenomeno. La poesia è l’indicibile, detto per come sarà percepito dal poeta e, pertanto, diverrà opportuno e necessario far macerare quel pensiero, trasfigurarlo e riproporlo. Ipotesi e tesi insieme, gioco di luci e ombre raccontate nell’intersezione di testa e cuore, scrivere è ricercare una propria chiarezza, un proprio centro, un fascicolo che accolga un percorso personale e i propri punti di giunzione.
     Mirko Servetti, con Terra bruciata di mezzo – fra Vespero e Lucifero, (Matisklo Edizioni), propone l’ultimo suo baluardo poetico, una raccolta di versi di certa e perentoria levatura. Vespero e Lucifero sono nomi attribuiti anticamente da Parmenide e Pitagora al pianeta Venere. In particolare, Vespero è la stella della sera e Lucifero quella del mattino. Due facce di una stessa medaglia, dunque, che identificano la dicotomia stessa del Poiein nel Servetti, in bilico sopra quel confine anzidetto, quella Terra bruciata di mezzo frapposta tra parola e indicibile, in una stocastica e ambigua accettazione del dire. Sarebbe arbitrario e illogico definire il Poeta in questione come mero fautore di associazioni; è tuttavia lapalissiano si accetti pure tale e più superficiale idea, sebbene, come ha scritto Gianmario Lucini e qualora si voglia accettare la sfida di “drizzare le antenne”, ecco, si potrebbe anche restare ammaliati da quel modello psicologico-associativo e straordinariamente intinto di realismo che è proprio del Poeta. Voler tentare di definire in modo icastico la scrittura del Servetti, sarebbe come limitarne l’intimità, sicché già da subito egli si propone con voli pindarici e lessemi, a nota di una solida ricchezza di metodo e contenuti.
     Lo stile asciutto ben si sposa al vocabolo, insistendo e viaggiando su corsie sintagmiche preferenziali e di certo magnetismo che ben si legano nell’integrità del costrutto. Peculiarità, gli aggettivi, presenti molto spesso nell’opera del Servetti, che tuttavia non compromettono né il costrutto né - tantomeno - la capacità di portare il lettore in luoghi e spazi altri e anzi, permettono una riduzione del distacco, riportando la lettura su un piano maggiormente percettivo, sebbene essa resti aleggiante su strati ermetici rimarcati dai correlativi oggettivi:
“Il salotto buono, /come usammo definire, /indifferente alla mia frequentazione /alla nostra stanchezza, /le mani prive di pudore /quando sfogliano parole /sospette in tempi sospetti […]”.
     Sinestesie che si rincorrono, inondando il dire del Poeta con quell’eleuteria, con quella pace indomita pronta a comburere dai visceri e fino alle più ataviche conseguenze:
“… o di quando la grande calda /smagliava le case scure /ed eri presa di una contentezza /da vivere nelle vetture /di seconda classe /piene di fumo e di apologhi, /con l’acqua tersa di una rovescia /che veniva a ricordarti /quanto l’avevi in corpo, /la voglia di mare”.
     Si ravvisa una sorta di deferenza, un appagamento devoto, un sentimento totale, un afflato che si coniuga magistralmente nella numinosa atmosfera ricreata dalla scansione verbale del Servetti, quasi si potesse restare a contemplarne le immagini scaturite da una visione di luoghi ameni, cui s’intersecano acronie e tòpoi di carature quasi innaturali, mai estemporanee, quasi eteree ed eterne:
“Ci avviamo senza concerto /alla piattaforma prossima all’acqua; /la notte esita, piana e umida /sulla tua pelle, emorragia di desideri /dal liquor al sillabario osceno /stormito nell’orecchio che ricorda /gli schiamazzi da bambini. /Ti stendi sulla gonna /attendi la mia debolezza compiutamente /prima di prendermi la schiena /e prendermi al di là degli orrori /di questo tempo; nella pegola /del vento imbolsito m’ingoierai /per risputarmi alla mattinata nuova […]”.
                                                                                                                                                                di Marco Nuzzo
Mirko Servetti
TERRA BRUCIATA DI MEZZO
fra Vespero e Lucifero
ISBN 978-88-98572-01-4
COMETE - collana di poesia
prima edizione, luglio 2013
2,99 euro
(Da "La poiana nel vento: Mirko Servetti" di Gianmario Lucini)
Servetti appartiene a quella categoria di poeti (posto che come categoria abbia caratteri definibili) che usa un linguaggio filosofico, fortemente connotato dal ragionamento, ma va da sé che non sia un ragionamento “logico”, che tende a una dimostrazione, bensì a cogliere una visione e le sue ragioni, un fenomeno e la sua anamnesi, il mondo e il suo divenire. C’è molto di sovrastorico, c’è una nota di “canto generale” in questi versi, c’è un io poetico e protagonista che si allarga assorbendo una “umanità” e cercando (poeticamente nel ruolo) di esserne voce, senza tentazioni vatiche ma assolvendo al compito fondamentale dell’arte, che è quello di essere tramite fra la dimensione dell’esser-ci e quella dell’essere, fra il mondo concreto e il mondo dei “mana”, per dirla con gli antropologi. Ed è lì che scatta la reazione, il corto circuito che produce senso, perché giunge senza mediazioni al centro della comunicazione poeta/lettore, dove la visione del mondo del poeta supera considerazioni quali tradizione e antitradizione e si impone come qualcosa di nuovo e di sorgivo.
[...]
Poesia dunque non “tranquilla” quella di Servetti, scrittura esigente, che richiede più antenne percettive attivate nello stesso momento. Io vi vedo sostanzialmente un contenuto di grande potenzialità che è sacrificato alla forma, ma mi si potrebbe obiettare, a ragione, che il limite sta nella mia capacità di penetrare questa forma, o anche nella mia dis-abitudine o nella troppo poca considerazione che ho per la ricerca stilistica. Sembra peraltro che la nota dialettica caratterizzante i contenuti (interrogativi) dei testi, in qualche modo si possa trasporre anche per la forma, per lo stile. In ogni caso ha una sua fisionomia precisa, di impatto e personalità che sicuramente pone problemi e, di conseguenza, provoca e stimola reazioni. Ed ecco emergere anche la dimensione comunicativa, che abbiamo indicato come problematica. Forse è una strada lunga e non semplice quella di accostarsi a questi versi, ma ognuno ha il suo passo. L’importante è rendersi conto che, come suggerisce Linguaglossa, “Servetti è forse uno dei pochissimi poeti a me noti che giunge alla conclusione che il bello stile, anche lo stile più rarefatto, è anche il prodotto della barbarie della cultura che quello stile legittima e finanzia; Servetti ha una acutissima percezione di questo nesso problematico”; è evidente che Servetti parte da una poetica complessa: sta a noi accettare la sua sfida.

Nessun commento:

Posta un commento