La capacità d'innescare, legare, e saldare assieme quegli elementi da collineare, è la caratteristica che viene a raffigurarsi in alcuni tratti e ritratti che segnano un percorso artistico nel locus; vieppiù, una indefinibile globalità di poeti si è spesso attaccata, nell'ultimo Novecento, a un rimando del senso della parola, in contrapposizione alla precedente realtà psicologica, letteraria e artistica prima che barocca e Montale e Campana ne sono stati, in Italia, i precursori. Dall'altra parte, pur non disdegnando le novità che attraverso Celan oscillavano nell'ermetismo e nel surrealismo e dunque nella riduzione della parola al silenzio, v'era una coorte di poeti che analizzava lo specimen in lontananza, quasi desiderosa di continuare a trasmettere la quotidianità in versi, soffermandosi in ciò che si caratterizzerà con Heidegger, Sartre e Jasper nell'Esistenzialismo. L'Esistenzialismo, assunse altresì svariate forme e peculiarità, per cui definirne uno stabbio, un confine, diviene anzichenò impossibile. Il movimento rimarcava accenti di carattere religioso, umanistico e mondano e si oppose al realismo e all'idealismo, il tutto in un'atmosfera di profonda crisi sociale e del singolo, concentrata perciò sulla solitudine e sulla precaria condizione dell'individuo.
Da questa sostanza di materia proteiforme cade, smacerandosi per poi ricomporsi, la poesia di Carlo Molinaro il quale, con "Le cose stesse", ci presenta un'opera fatta di continuo affinamento, seppur ferma nei discorsi di vita mondana, confinatasi in un poetare improbo e gergale, eppure dannatamente veritiero, sarcastico, urbano. Poesia dell'Essere e dell'esistere, quella del Molinaro, ricca di suggestioni che riesce a nascondere ed estrapolare all'occorrenza, attraverso quel male di vivere di respiro montaliano, per poi autosostenersi nell'alternanza delle molteplici figure retoriche che ne caratterizzano la musicalità sinusoidale; si noti, per esempio, il frequente utilizzo delle anafore per intensificare sinesteticamente la parola e il consequenziale raggiungimento di climax e anticlimax come nei passaggi:
"[...] Quanto a me, /il mondo mi è piaciuto abbastanza: /belle movenze begli odori bei colori /bei percorsi begli scenari: /sì, mi è sembrato quasi tutto bello: /ho trovato bellezza /anche in buchi di piscio e cemento: /ma nonostante questo /o forse proprio per questo /ho avuto difficoltà nella gestione del vivere [...]".
Dai versi si palesa - dicevo - un certo male di vivere che spesso parrebbe raffigurarsi con volto di donna ma verosimilmente privo di volti specifici, nel cui ornamento coesiste un'insalubre requie aspirante a sgranarsi i perdoni per quella incomprensione della propria instabilità che lo avvicinerebbe a certa tematica leopardiana; e lo status del Molinaro è incipiente già dalla dedica alle donne e a tutte le ragazze che riescono a stargli vicino nel mondo reale per giorni o per anni - puntualizza - quasi fosse suo preciso destino e dannazione l'incontro-scontro tra il Poeta e il lato muliebre del mondo.
"[...] D'altronde nessuno è perfetto: /non so cosa ho fatto, non so cosa ho detto: /non lascio niente a nessuno: /lascio tutto a tutti: /prenda ognuno ciò che vuole: / forse così lo troverà gradito: /io sbaglio sempre in cosa dare a chi."
Sembrerebbe di assaporare la sapienzialità di Socrate o di Laozi nell'impegno scritto del poeta, quasi fosse lì per dare l'addio, lasciando niente a nessuno e tutto a tutti, quasi avesse per le mani l'incommensurabile per pochi intimi, quasi che la sua resilienza si facesse sostanza e distanza insieme per chi avesse brama di scoprirla; e c'è un "nascondino dei dolori" nei tanti se stesso dove vanno in scena gestualità e maschere di rimarchevole conformismo, mentre la verità soffre, poi le maschere si cambiano di posto, un altro se stesso va in scena in un gioco di lambicchi e travasi che, nella cruda verità della chiusa, fa anche sorridere. La ricerca della verità, poi, è argomento da trattarsi in ogni opera del Molinaro che si - e ci - domanda, con un'anacenosi, se le talpe siano più sagge degli scoiattoli, se la verità stia davvero sul fondo, piuttosto che in superficie.
Quel che ci è dato sapere e conoscere delle verità è che la ricchezza di contenuti, la bellezza e l'umanità di quell'anima che è Carlo Molinaro, presente in "Le cose stesse", opera edita dalla Matisklo edizioni, non è mera opera di poesia, né puro esercizio di stile. È luogo di riflessione e di catarsi, è tempio sacro capace di rimettere in discussione se stesso, è caustica umanità e ironia sullo sfondo del dramma di vivere.
Di Marco Nuzzo
Carlo Molinaro
LE COSE STESSE
Prefazione di Franco G. Trinchero
Illustrazione di copertina di Claudia Cabrini
ISBN 978-88-98572-10-6
COMETE - collana di poesia
prima edizione, dicembre 2013
3,99 euro
Incipit:
Tornano in Le cose stesse i temi dell'amore e della bellezza che hanno fatto di Carlo Molinaro uno dei poeti più amati della scena italiana. Una poesia intesa «ad accantonare opinioni e sistemi concettuali correnti per lasciare spazio al nudo impatto con le cose, con i fatti», così la definisce Franco Trinchero nella sua Nota a margine. Da sempre però Molinaro si non si limita a discostarsi semplicemente dal «comune (e comunitario) modo di sentire, di agire, di reagire». I suoi versi che «scattano a ogni accenno di bellezza che si presenti nella Natura [...] così come nella popolazione umana (principalmente femminile)» registrano, sempre citando Trinchero, «un'orgogliosa affermazione d'indipendenza, la propria diversità di “movimento” nel mondo». A due anni da Rinfusi (Genesi Editrice, Torino, 2011), la nuova raccolta di Molinaro insegue la bellezza, la crea e l'assapora, in un susseguirsi di situazioni nelle quali Le cose stesse divengono occasioni per celebrare un amore senza confini, gerarchie, date di scadenza. Un amore assoluto e non negoziabile. La copertina di Le cose stesse è stata realizzata da Claudia Cabrini su progetto fotografico dell'autore.
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