venerdì 10 marzo 2017

L'autore-ferenziale.



Esiste una sorta di reticenza mascherata da utopia, dentro il mondo della scrittura e dell'arte in genere. Mi riferisco a quell'arte, a quella scrittura venduta, puttana, fatta per affabulare la massa dei lettori. Quando in un corso di scrittura si ripresenta, sistematicamente, la regola di ristabilire un ordine consolatorio di prossemica, lungi dal rappresentare scene censorie, al solo scopo di DOVER coccolare il lettore, si comincia a comprendere quanto i cosiddetti e determinanti "corsi" siano aberranti e quanta aberrazione esista nel mondo di una scrittura i cui vertici hanno istituzionalizzato, coesi col potere politico, anche arte e letteratura.

Il povero neofita scribacchino, digiuno di corsi di scrittura creativa e che di creativo hanno davvero ben poco, limitandone, per l'appunto, ogni genere di creatività entro i margini imposti dalla morale, si ritroverà a combattere contro i princìpi imposti dallo Stato, dai concetti di morale e di censura da questi valutati e resi idonei, da un Cartello di major che hanno assunto l'"oneroso" potere di ritenere adeguato cosa scrivere, come e quando, sempre perché il lettore va coccolato, per il fatto stesso che lo scrittore deve prostituirsi, restando all'interno di quel mondo ovattato che il lettore vuol (deve?) sentirsi dire. Peggio della censura, esiste solo l'autocensura; quando temi scottanti come la pedofilia vengono ritenuti tabù, quando in un corso di scrittura insegnano che "i nipotini non andranno in braccio ai nonni", perché tale scena potrebbe esser riletta come amorale e sintomo di una mente malata o, ancora, incipiente di perversioni nascoste in un potenziale lettore, si comprenderà dunque quanto malato possa essere - in effetti - il rapporto di certo genere imposto e impostore di scrittura.
I gruppi dominanti agiscono, nella coazione del proprio gusto, con metodi strettamente commerciali, pur propagandando l'idea ingenua dell'assoluta libertà dell'arte, togliendo al pubblico anche il coraggio di avere un proprio gusto, sottolinea Levin Shücking. 

L'idea in auge, determina icasticamente l'autore-scrittore-giornalista alla stregua del VIP, del personaggio importante lontano dal rappresentare l'"Uomo senza qualità" di Musil e perciò, per tali aspetti, anti-emersoniano, imperciocché, un ingrediente pretestuoso che resterà entro la caustica normalità al fine di alimentare il mercato e la propria autoreferenzialità, quindi una maschera anch'egli, un conformista travestito da ribelle, un ribelle molto annacquato, poiché (ricaduto?) nell'autocensura e nella piaggeria, nella connivente vacuità dei suoi stessi pensieri espressi e nell'ebetismo del commissionario nella statuizione del committente. Va da sé che il libro, l'opera, l'articolo, assumano un significato a sé stante, poiché il significato ricadrà sull'autore, sull'origine e non sul fine.
Roland Barthes parla di "morte dell'autore" e, sinesteticamente, Michel Foucault di "togliere al soggetto il suo ruolo di fondamento originario", quando entrambi evidenzieranno il fatto che l'autore, nei confronti del testo, rappresenta una chiusura, uno sbilanciamento non solo in sede di critica, ma anche nel lettore. L'unità del testo non sta nella sua origine, ma nella sua destinazione. L'autore diviene dunque un elemento inutile, un elemento a sé, da ghigliottinare col rasoio di Occam.
L'autore - spiega Foucault - più che la persona fisica, rappresenta un fenomeno di "transdiscorsività", ossia l'opportunità e la regola di fondare altri discorsi, in un continuo rimando del senso che attraversa discorsi prima e dopo la vita dell'autore stesso. L'autore è la possibilità indefinita del discorso, è quell'elemento che scompare mentre si accentuano la valorizzazione e l'appropriazione del discorso nelle diverse culture che man mano si modificano.

Nessun commento:

Posta un commento