Ciò a cui assistiamo, quello che ci viene proposto nella società odierna, è una sorta di rinascimento del pensiero che, seppur da un lato ha sostenuto una predeterminata libertà di pensiero (libertinismo, pirronismo), dall'altra ha creato nuove gabbie entro cui assoggettare l'uomo e serrarlo, per poi gettare la chiave, facendolo usufruire di mezzi che ricreano la virtualità di precise velleità ascose nell'anima ma che brulicano nel sostrato urbano. Quando Zygmunt Bauman parla di modernità liquida, fa riferimento a una società che, passata dal consumismo alla creazione di rifiuti umani, perde il senso stesso di morale, senso che resta confinato nel patinato della pubblicità, nella vetrina del focolare
domestico sotto cui si riuniscono famiglie oramai straniere di se stesse, un conglomerato di perfetti sconosciuti, rapiti dall'istinto di rifuggire quell'oppressione che li lega, tentandosi e arrischiandosi in relazioni fugaci. La globalizzazione porta, per Bauman, ad un coercitivo adeguamento del singolo al gruppo, adeguamento ch'egli opera pur di non sentirsi escluso. Ecco che il mostro si cela dietro la normalità e il desiderio di libertà, ecco che la follia educata spicca le ali, beffandosi della moralità apparente. In un mondo che usa la frustrazione per omologare il singolo, dietro un velato disegno sociale di libertà, il singolo ricerca e ricrea una sua fuga a passo felpato, un proprio mondo che lo faccia fuggire da leggi che lo incarcerano, rinnegando ogni principio di morale imposta da dettami che non sente proprii.
domestico sotto cui si riuniscono famiglie oramai straniere di se stesse, un conglomerato di perfetti sconosciuti, rapiti dall'istinto di rifuggire quell'oppressione che li lega, tentandosi e arrischiandosi in relazioni fugaci. La globalizzazione porta, per Bauman, ad un coercitivo adeguamento del singolo al gruppo, adeguamento ch'egli opera pur di non sentirsi escluso. Ecco che il mostro si cela dietro la normalità e il desiderio di libertà, ecco che la follia educata spicca le ali, beffandosi della moralità apparente. In un mondo che usa la frustrazione per omologare il singolo, dietro un velato disegno sociale di libertà, il singolo ricerca e ricrea una sua fuga a passo felpato, un proprio mondo che lo faccia fuggire da leggi che lo incarcerano, rinnegando ogni principio di morale imposta da dettami che non sente proprii.
Nel romanzo di Nina Vanigli, "Mulini neri", la percezione della morale "solipsistica" è avvertita nell'ambito famigliare, un locus amoenus patinato ed eudemonico, ove gli attori agiscono ognuno elicitando una propria amoralità, agendo nel o-sceno, al di fuori dal teatrino moralistico imposto, quindi, levando la maschera a una società con una facciata perfetta e dai sorrisi perfetti che celano intrecci e variabili di chimere e mostri. Un romanzo di protesta contro la stessa società dei consumi che riduce l'uomo a mero oggetto, desertificandolo dell'anima e di ogni significante.
Un romanzo da leggere tutto d'un fiato, anche perché la scrittura della Vanigli è agile e leggera, sebbene non ci si trovi di fronte a uno dei soliti romanzetti stereotipati, cui ci ha abituato la tendenza mercificatrice dell'editoria contemporanea.
Nessun commento:
Posta un commento