venerdì 10 marzo 2017

Il fenomeno



Il termine fenomeno, dal greco ϕαινόμενον [fainòmenon], participio sostantivato di ϕαίνομαι [fàinomai] "mostrarsi, apparire", in filosofia indica "ciò che appare, che quindi può non corrispondere all'oggettività, e che si manifesta ed è conoscibile tramite i sensi". (Fonte: Wikipedia)

Un discorso sul fenomeno, affinché possa sortire un valore e uno stimolo nell'approssimante interesse che cela, dovrebbe quindi potersi costruire e de-costruire nella sensorialità e nella transdiscorsività, in un continuo rimando di senso. Interrogarsi è il crogiolo per pervenire alla risposta, poiché mancando l'interrogazione, mancando la domanda, non esisterà alcuna risposta. Dovremmo, nella descrizione del fenomeno, valutare anzitutto se esso debba intendersi come oggettivo o soggettivo. Un fenomeno oggettivo, poste le basi affinché sia tale, sarà tale per tutti e quell'obiettività perdurerà nel tempo, fino a quando non interverrà un secondo fenomeno a confutarlo (es. La palla è una sfera). Un fenomeno
soggettivo, poste le basi per la sua soggettività, resterà tale solo per uno o per alcuni soggetti, fino a quando non interverranno altri fenomeni a confutarlo (es. Dio esiste). La vera logicità del discorso è di per sé costituita da quanto v'è di effettivamente reale o di empiricamente dimostrabile. Tutta la fase estetica è inutile ai fini della descrizione di un fenomeno oggettivo, poiché, tutto quel che viene percepito come 'bello' o 'brutto', come 'buono' o 'crudele' è compromesso e compromettente ai fini di una valutazione prettamente oggettiva. Qualunque sia il fenomeno, va da sé che arrogarsi il diritto del discorso crei una sorta di transustanziazione, di passaggio dal dicibile al "chi l'ha detto?". La potenza del discorso, qualora avvalorato dalle sole ipotesi e mai dimostrato da tesi alcuna, aumenta con l'aumentare della credibilità del proprio autore. Allo stesso modo, la credibilità dell'autore diminuisce laddove vengano confutate le sue ipotesi che, necessariamente, perdono di potenza. È necessario premettere tuttavia che la stessa credibilità del fenomeno debba intendersi pure laddove esso diventi ipotesi inconfutabile, come nel romanzo fantastico, per esempio. In questo non-luogo fenomenico esisterà un'accettazione, sia nel lettore, che nell'autore, dell'inganno; qui l'autore non ha pretesa d'esser creduto anzi, ha il compito d'ingannare il lettore, che sarà a sua volta ben conscio dell'inganno. Qual è dunque il senso dell'autore all'interno del discorso? Il problema del "chi dice cosa" ha ragione di esistere solo laddove si voglia indagare in termini socio-storico-culturali circa le ragioni che abbiano spinto l'autore a dire, a descrivere il fenomeno. Pare tuttavia che l'autore, nell'accezione fornita da Michel Foucault e Roland Barthes, sia un elemento da espropriare dal discorso, proprio in ragione del fatto che egli agisce da filtro, spostando l'attenzione del lettore sul principio del discorso, piuttosto che sul fine. È ciò che, purtroppo, accade sempre più spesso oggi nel mercato dell'editoria e non solo, in queste paradossali libertà volgarmente espositive, contestualmente alla mancanza di una propria consapevolezza che dovrebbe, anzichenò, concretizzarsi nell'alienazione dell'ego e nell'affermazione del fenomeno. Si scelgono e si pubblicano libri in base all'importanza dell'autore, piuttosto che del discorso. La transdiscorsività stessa viene a mancare laddove il peso si sposti sul versante autoriale, laddove l'autore finisca per dire solo se stesso, diventando egli stesso "fenomeno".

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