lunedì 13 maggio 2019

Sul tradimento.



Avessimo la comprensione del cagionarci, eviteremmo ogni filautia, qualsiasi pericolo tra le isteresi di un amore per sé stessi e uno filantropico, recidendo ogni legame, ogni processo, ogni gamma di attenzioni rimarchevoli dell'uomo e dei suoi paradossi esistenziali votati al tradimento. "Tradire" è la parola d'ordine; dalla Bibbia al mercimonio, da Caino alle religioni, il tradimento è la più realistica forma di deposizione e di sedimentazione umana. 


L'uomo è la più alta forma di tradimento, dacché se ne abbia memoria. L'esegesi delle vicende bibliche, soprattutto veterotestamentarie, non è che un reiterarne la questione, in fieri: l'uomo tradisce costantemente Dio, Dio tradisce l'uomo, lo attacca, quasi lo annienta ma l'uomo non può che ripetersi in quest'atto.



Dio non rinnega la natura della propria creazione, sebbene continui ad attaccarlo, a provocarlo così come l'uomo provochi, a sua volta, il proprio Dio. Dio è un disastro, un Verbo, una parola male interpretata, che muta la propria condizione man mano che i significati e i significanti si allontanano dalle proprie origini. D'altronde, significati e significanti non hanno alcun senso comune e tutto il linguaggio, scritto e orale, dalla scrittura rupestre, dal linguaggio dei segni in poi, è tutto un rimando di sensi, di metafore e metonimie, incastrate a forza per inglobare un senso comune di pensiero di gruppi più o meno coesi in agglutinazioni, moltitudini di schiavi soggetti a distintivi sociali entro cui affermare una tirannia primordiale, teista, a capo delle suddette società.

Il Verbo risulta dunque tradito e l'uomo, perenne Giuda, applica il proprio senso al Verbo, all'origine, a Dio. L'interpretazione è tradimento del senso, del proprio Dio, dell'uomo, del tutto e, più aumentano i significanti, più ci si allontana dall'origine e più il linguaggio diventa un rischio. Più il linguaggio diviene rischio e più si necessita di parole d'ordine e di leggi con cui riproporre una schematizzazione di significati e di significanti, di esseri, linguaggi e dèi proteiformi mutuati da passati misconosciuti, da lignaggi che abradono il senso degli avi, costruendo nuovi ed estemporanei sensi sopra servaggi a loro estranei, e via discorrendo. È la transustanziazione del Dio, è la condanna, la fossa, la lapidazione del tutto, è il bisogno di nuove frontiere, è Schonberg con la dodecafonia, è Joyce con l'Ulisse, è Kandinskij con l'astrattismo, è l'infinito rimando del Dio e della propria viscerale, uroborica impostura chiamata "uomo".

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