venerdì 10 marzo 2017

Prefazione al romanzo fantascientifico "Shaal-ka Puhr", di Navarra-Mantelli



Sarebbe affascinante tornare indietro, abbondantemente lontano da qualsivoglia memoria storica, all’incirca alla nascita dell’uomo del nostro tempo, ancor prima di discettare di fantascienza per come oggigiorno si è andata esponendo, in quella poliedricità di sfumature, cromie e sottogeneri giunti a noi sin dalla nascita e dallo sviluppo della macchina, attraverso un certame di visioni futuristiche, ucroniche e pseudoscientifiche proposte man mano che le scienze incedevano, rispondendo via via alle domande dell’uomo; vorrei tornare al passato – pertanto - con la rievocazione memoriale della scoperta di taluni reperti dell’archeologia misteriosa risalenti al periodo pre-Inca dei Sinù, di alcuni monili dalla presunta forma di aerei o – ancora - all’uccello di Saqqara risalente al 200 a.C. ritrovato
in Egitto. Oggetti che, per la loro collocazione temporale, demolirebbero la nostra conoscenza del mondo antico. Al fascino di questi monili, andrebbe ad annettersi poi l’incanto di testi antichi che menzionerebbero, più o meno dettagliatamente, talune macchine volanti, utilizzate dagli dèi per i loro celeri spostamenti. Esempio saliente ne è l’epica indiana. Testi come il Sutra-dhara, il Ramayana, il Mahabharatra in particolare, discorrono di alcuni mezzi volanti di metallo, molto simili ai nostri aerei, chiamati Vimana e utilizzati per i trasferimenti, in grado perfino di viaggiare nello spazio. Gli scritti sono corredati di tanto di appunti sulla loro costruzione, con relativa descrizione delle leggi fisiche. Nel libro di Enoch, questi racconta di aver passato diversi giorni all’interno di una navicella spaziale e ancora, nella Bibbia, in Ezechiele, il profeta riporta la visione di una sorta di carro volante infuocato proveniente dallo spazio; dalla descrizione si è appurato che alcuni dettagli sono incomprensibili, rispetto a un’epoca priva di rudimenti di aerodinamica. Nell’antichità, i dispositivi volanti non sono dunque un’eccezione; altro esempio è il Sifr’ala, libro scritto in caldeo arcaico, nel quale vengono riportati, con dovizia di particolari dettagli tecnici per la costruzione di aeromobili. Che sia frutto della fantasia umana, dell’ignoranza o della poca conoscenza del nostro passato, reputo necessario annoverare tali fantastiche opere nel genere fantascientifico, opere precorritrici e, forse, ancor più fantastiche per l’alone di mistero che ancor attualmente le adombra.
Nel ricercare un significato adatto a identificare il termine fantascienza, si ricade facilmente nell’errore di considerare il genere come il più idoneo a vaticinare il futuro o che si occupi di un futuro arbitrario ma possibile, sempre nell’ottica di una visione e ricerca ontologica ridefinita nel presente, di una inchiesta sul significato della vita o dell’esplorazione di mondi altri. Neil Gaiman ha definito la fantascienza un prodotto della nostra epoca, di racconti frutto dei tempi odierni, un prodotto partorito da menti del nostro tempo e che riflette paure, pregiudizi e presupposti del periodo in cui è stata scritta. La buona fantascienza è destinata a durare e, partendo dal presente, essa si spinge attraversando il futuro, continuando a parlarci del presente. Se Verne o Shelley risultano essere – ipso facto - i precursori di certa letteratura avveniristica, si reputa pur tuttavia necessario richiamare in causa quegli antenati che, forse, hanno contribuito non poco affinché tale fonte sorgiva potesse rivivere sino a sfavillare in quella stella che è la fantascienza odierna, e penso alla parodia di Luciano di Samosata, Una storia vera o al trattato di Bacone, La nuova Atlantide oppure al Somnium di Keplero. Di più recente fattura, è la Storia filosofica dei secoli futuri, di Ippolito Nievo per giungere infine a Jonathan Swift, a Hawthorne, sino a Poe o al pessimismo/orrore cosmico lovecraftiano. È necessario tuttavia considerare vivo il presupposto novecentesco, quello della rivoluzione industriale, della macchina, quale valore intrinseco, portante, condizione imprescindibile per lo sviluppo del genere fantascientifico, un mix in cui s’innestano fantastico e scienza in contrapposta posizione rispetto al superuomo (oltreuomo) di Nietzsche, che invece era in netto contrasto col materialismo, prigione che l’uomo occidentale andava costruendosi attorno alla propria, tracotante immagine. La fine dell’Ottocento vide l’inalberarsi del romanzo di fantascienza, che Mary Shelley, H. G. Wells e Jules Verne, contribuirono a ramificare, rappresentandone gli aspetti allotropi - e dalle storie di critica sociale di Wells, si passava a quelli delle pseudo ricerche scientifiche di Verne, financo alla prima forma di macchina senziente di Samuel Butler. Bisognerà attendere il nuovo Secolo e gli anni Quaranta per la nascita e la fioritura di scrittori come Asimov o Ray Bradbury, che getteranno poi le basi per la letteratura di fantascienza moderna per tutto il seguente ventennio. L’avvento della Guerra fredda, la bomba atomica, la paura per il diverso, segnano cambiamenti non indifferenti nell’approccio alla fantascienza, contraddistinta, stavolta, dall’angoscia; la fantascienza diventa, dunque, sociologica secondo i canoni dettati da scrittori tra cui si annoverano Richard Matheson o Walter Miller jr. Sempre in quegli anni, alla critica sociologica dei primi, si contrappose una miglior qualità letteraria, grazie pure a Anthony Boucher o Philip K. Dick. Negli anni Sessanta, nel nostro Paese, si riproponeva la rivista Urania, nata nel ’52 e subito chiusa. La rivista ebbe ruolo rilevante per la diffusione della fantascienza e molti scrittori, tra cui Asimov e Dick, furono pubblicati per la prima volta proprio su Urania. Gli anni Settanta, condizionati dall’uso di droghe, dagli studi sul bio-feedback, dalle tecniche per la modificazione dello stato di coscienza e da temi scottanti quali poterono essere il femminismo, diedero i natali a quella che fu definita la New wave, caratterizzata dalla cultura hippy e dall’ostilità verso la struttura industriale della società. Questo frangente storico vide la nascita di una gran varietà di scrittrici di genere, talvolta rimaste occultate sotto i loro pseudonimi maschili, come accadde per Alice Sheldon. Si reputa necessario annoverare, in questo periodo, la produzione cinematografica fantascientifica che, grazie a George Lucas, meritevole di aver portato alla luce la space opera sullo schermo, produsse la trilogia di Guerre stellari. Occorrerà indugiare sino alla nascita e allo sviluppo dell’era tecnologica e dei computer, che apersero e spianarono poi la strada, agli inizi degli anni Ottanta, alle nuove interazioni sociali, dall’interno delle proprie case. Il fenomeno realizzò un nuovo sottogenere fantascientifico; oltre alla fantascienza spaziale o psichica, muoveva i primi passi anche quella virtuale del cyberpunk, partorita dall’idea di William Gibson, Neuromante. Sebbene in quegli anni si assisté a un certo interessamento, negli ambiti accademici, per la letteratura cyberpunk, essa ebbe una breve esistenza, poiché le idee ben presto scarseggiarono sino a sopraggiungere dei processi di ibridazione degli anni Novanta. A parte le riprese della letteratura distopica o delle allostorie o, ancora di certa fantascienza apocalittica e post-apocalittica, che tornava alla disamina dei temi sociali in una sorta di what if collettivo, rimarcando la paura dell’uomo per gli argomenti globali maggiormente discussi, come l’inquinamento, le guerre, le lotte sociali, la maggior parte degli scrittori di fantascienza, orientò le proprie idee su ben altri progetti, procedendo dall’horror ai gialli, fino al fantasy, oppure le mescolò con sprazzi di fantascienza, in un coacervo che avvertiva, di tanto in tanto, risvolti funzionali e alquanto inattesi.
È lecito domandarsi quale futuro e che forme assumeranno i prossimi oggetti della fantascienza, soprattutto come reazione all’ucronia o a fatti realmente prevedibili o che si teme possano accadere, del prosieguo dei tempi e dell’incedente avanzamento delle civiltà umane. Taluni temi soffrono troppo spesso di questioni già ritrite e trovare un varco in tal senso si fa sempre più faticoso; ci si arrischia in luoghi già lungamente percorsi e, pertanto, il rischio grave è quello di assuefare il lettore dentro una biosfera soporifera, che non dà niente di nuovo. Eppure le vie di fuga esistono, spesso ascose all’interno di quei passaggi atemporali intimistici, eclatante esempio potrebbe essere rappresentato da Stalker di A. Tarkovskij o dal romanzo The Road di Cormac McCarty, senza peraltro svalutare o riporre via quelle questioni tanto care agli scrittori intercalati nei viaggi e nell’esplorazione spazio-temporale o nel romanzo distopico. D’altronde, se è vero che tutto il Novecento ha giustificato la propria immagine letteraria sulle rovine dei periodi antecedenti, non vedo perché questo nuovo millennio non possa risorgere da quelle rovine, ricostruendosi sui frammenti di un apodittico Big Bang che sia in grado di scadere pure dentro il sociale, talmente da riuscire nel filantropico intento di risvegliare la scienza e la coscienza, e i nuovi scrittori, agenti come dei novelli Huxley, Orwell o Fratelli Wachowsky, in grado di far intendere quanto si abbia ancora da affermare nell’incommensurabile multiverso fantascientifico.
Orbene, si impone la notevole difficoltà di tracciare un confine per la collocazione spazio-temporale del romanzo di Navarra – Mandelli. La Terra si fa territorio secondario, utilizzato solo con funzionalità geografica e glissato dall’entropia di uno status interiore, dall’epifania dello spirito o dell’hurum, oppure da uno spazio totalmente esterno, materico sì, eppure così affollato di pathos da risentire di una indecifrabile melanconia per un passato perduto per sempre e per un futuro incapace di ridarne la giusta gloria. La religione e la scienza unite per fronteggiare, all’unisono, la distanza che separa il dio Hunab da quelle particelle che lo definiscono, siano esse rappresentate dalla razza degli hunai o da quella dei terrestri. Sembra di fare i conti con l’Epopea di Gilgamesh o con l’Enûma Eliš per le differenti facciate e interazioni tra uomini e dèi e, perché no, con la controversa teoria dell’antico astronauta di Zecharia Sitchin o ancora, come già prospettato in partenza, con le differenti storie e i monili della criptoarcheologia. Il tutto, è condito in un amalgama di studi scientifici veri e propri e da una neolingua sufficientemente arricchita di glossario. Un lavoro a tutto tondo, quello degli autori, meritevoli, tra l’altro, di aver riconsegnato alla luce temi caldi, su uno sfondo atipico per la fantascienza degli ultimi decenni, troppo spesso rea di autoproclamazione e ostentazione del plagio, divenuta, per la povertà di contenuti, motivo di scherno e di abbandono del genere da gran parte di autori e lettori.


“La fantascienza è una nuova mistica, è la resurrezione della poesia epica: l'uomo e il suo superamento, l'eroe e le sue imprese, la lotta contro l'ignoto”.
Boris Vian

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