venerdì 10 marzo 2017

Intervista a me stesso.


Per non ingenerare antipatie già nel titolo, ho bisogno di spiegare la scelta di un'intervista a me stesso. Non si tratta di egocentrismo, non soltanto, sebbene sia appurato il desiderio, da parte di chi scriva, di farsi sentire; invero, nessun giornalista potrà mai penetrare l'animo di un intervistato come egli stesso potrebbe. La scelta è lapalissiana, la voce univoca si scompone in due parti. Parlare del proprio io, snudarsi per trafiggersi nella speranza di ritrovarsi dentro un disagio auto-incusso, è ciò che vorrei raggiungere. Non c'è guarigione da questo stato, solo altra utopia. I segni non guariscono, i segni ingannano, stimolando l'orgasmo verso il prossimo giorno e la prossima utopia. Allora ti chiedi:


D - A che serve?
R - A generare il prossimo giorno! L'uomo cerca conferme e i segni sono il mezzo con cui l'uomo traduce verità opinabili in conferme. Quando più uomini confermano un segno, ecco la verità, ecco Dio, ecco il destino e la destinazione, ecco che si ha una strada e, dunque, un senso.

D - È dunque l'uomo che genera Dio?
R - Di certo non si genera da solo. Senza l'uomo, Dio resterebbe un'idea irrealizzata; per dirla platonicamente, resterebbe nell'Iperuranio.

D - Cos'è, per te, l'idea?
R - L'idea è la forma nella sua latenza. L'idea diventa forma qualora avvenga una transustanziazione per opera dello spirito. 

D - Ti sei sempre definito ateo. Perché parli di spirito?
R - Lo spirito non ha nulla a che vedere con dio o le religioni. Ritengo anzi che le religioni siano la morte dello spirito. Chi detta legge sul tuo spirito, sulla tua essenza, sul tuo modo di fare, reputando e definendo cosa sia giusto o sbagliato, vuol cancellare il tuo spirito, quindi vuol cancellare la realizzazione delle tue idee.

D - A che scopo vorrebbero far questo?
R - Per imporre il proprio modo di pensare, di agire, di legiferare. Tutto ciò che si discosta da ciò è aprioristicamente sbagliato. Per questo il tuo modo di vedere deve adeguarsi e restare entro certi margini. Si chiama "normalità". Quando la psicologia e la società ti formano entro certi canoni, da te si aspettano normalità. Tutto ciò che supera il limite è folle, è porno, è indecenza, clandestinità... peccato.

D - Tutto ciò si evidenzia anche in letteratura, o no?
R - La letteratura, ogni forma d'arte e di contenuto, sono uno specchio con cui si evidenzia la peculiarità dell'uomo. A prescindere dal fatto che ogni arte sia legata indissolubilmente a chi la genera, fine ultimo dell'arte e della letteratura dovrebbe essere quello di superare tale condizione, elevarsi oltre quell'umanità, oltre se stessa. Così non fosse - e troppo spesso non l'è - resterebbe un modo consolatorio per esaltarsi assieme alla tregenda di seguaci che continuano a complimentarsi. È un agape retto sulla menzogna e troppa gente ci marcia per far soldi. La "letteratura" di oggi è peripatetica e si regge sul consenso del pubblico, dando al lettore finale ciò che il lettore vorrebbe sentirsi dire, non ciò di cui ha bisogno.

D - Tornando al concetto di "verità", prima affermavi che nessuna verità è ontologicamente percorribile, perché tu vorresti imporre il tuo concetto di verità, piuttosto che quello in auge?
R - Sia chiaro, io non impongo, io mi limito a proporre un modo differente di vedere le cose. Molti si chiederebbero se sia giusto uscir fuori dai sentieri tracciati. Io mi chiedo se non sia possibile esplorare nuove strade, allontanandosi da una verità già troppo battuta. Il problema è: "Cosa vuoi ottenere?"

D - Cosa vuol ottenere Marco Nuzzo?
R - Appurato non esista alcuna verità o, definiamo meglio, non esiste verità ontologicamente percorribile, non resta che vivere il disastro, giorno dopo giorno, sperando finisca. Marco Nuzzo vuol aggiungere disastro al disastro. Ricordo una donna alla presentazione di un mio libro; rivolgendosi a una mia amica, dopo averlo sfogliato, le intimò: "Non si capisce niente". La sua faccia amareggiata fu la cosa più divertente della serata, forse anche la più umana, poiché, diciamolo, l'uomo è divertente. L'uomo è la barzelletta dell'universo. Ancor più divertente il fatto che la signora prese una copia del libro e, nel marasma generale, dimenticò (diciamo così) di pagarla. Un disastro. Non che ci abbia sofferto, vivo lo stesso, anche con dieci Euro di meno in tasca. Ma fu divertente.

D - Quale sarebbe la morale?
R - La morale è che, citando Cioran, "l'uomo secerne disastro" e poi si dice deluso dal mio modo di scrivere.

D - Ce l'hanno tutti con te.
R - La gente, quella "normale" non mi vede nemmeno. Se mai, ce l'ha con se stessa.

D - Parliamo del vostro ultimo libro, dài, spazio pubblicitario autoreferenziale.
R - È un libro scritto a quattro mani insieme alla giovanissima Alessandra Molteni. Il titolo è: "Le falene dalla luce", collana Comete, diretta da Carlo Molinaro, per Matisklo Edizioni di Cesare Oddera e Francesco Vico. Ringrazio particolarmente gli immensi Norman Zoia e Mirko Servetti per aver voluto prestare la loro attenzione alla nostra opera. La copertina è della bravissima Manuela Torterolo. Il libro vuol essere un modo per oltrepassare la soglia della normalità, un gesto di evasione e di secernimento di ulteriore disastro. 

D - Perché la scelta è ricaduta su Alessandra Molteni?
R - Alessandra scrive bene, è ancora molto giovane e spero maturi in senso letterario, ma ha talento e, spero, anche voglia di esperirlo. Trovo che il suo modo di scrivere sia oltre il senso comune, e comunque molto superiore ai "normali" della sua età. Lessi alcuni suoi scritti, mi piacquero, le domandai se aveva voglia di scrivere qualcosa con me e ne fu contenta. L'idea si è concretizzata.

D - Perché questo titolo?
R - Perché no? Siamo falene, lontani dalla luce e da ogni verità ontologicamente precorsa. Falene e luce/fiamma/fuoco, rappresentano, nel significato metaforico, l’inappagabile e continua ricerca di una verità ontologica, dell’irraggiungibile, dell’eschaton, del fine umano ultimo. Poesia e Filosofia, sorelle antitetiche, da sempre s'interrogano sul valore della verità oggettiva, alla ricerca della quale l’uomo si auto-immola, divenendo cenere. La luce/fiamma/fuoco - simbolicamente - è la vita dell’uomo che nasce, si sviluppa e muore; le falene rappresentano Filosofia e Poesia; attraversando l’ansia del volo e verso la gnosi dell’ego, della conoscenza/luce/splendore, esse finiscono per bruciarvisi, tornando in cenere. Fine ultimo dell’Alchimia fu la 'lapis philosophorum', il segreto dell’onniscienza, della vita eterna e della trasformazione dei metalli in oro. Fine ultimo dell'uomo resta il superamento della cenere, la panacea di ogni male, l'assurgere e il contrapporsi all'effimeratezza di una creazione errata alla quale cerca disperatamente di porre rimedio.

D - A che serve scrivere in poesia? A che serve pubblicare?
R - A niente. Come tutto, del resto. Ma è per colpa di quel niente che trovo ancora una ragione per scrivere e per restare. Ognuno deve trovare un senso nel non-senso, per sopravvivere. Questo è il mio senso: il non-senso stesso.

D - Prima hai parlato di segni. Qual è il significato dei segni nella scrittura? Sono necessari? 
R - I segni sono necessari per l'espressione delle idee. La scrittura cinese o giapponese si basa su ideogrammi, la letteraruta è fatta di segni, di significanti e di significati. Ferdinand De Saussure lo concettualizzò nel triangolo semiotico. La disposizione dei segni, a seconda delle sequenze, assume valore e significato differente. Tutto si dispone in modo da risultare significativo per gli interlocutori che nel significato trovano il denominatore comune per il senso. Ma comprendi che, qualsiasi senso si voglia dare allo scritto o alla parola, universalmente tutto si riduce ad anfibologia e phoné, a rumore, a non-senso. È questo il senso del discorso.

D - Per cui non esiste alcun senso in alcun discorso, se ci si porta fuori dall'universo umano?
R - L'universo umano è solo una monade, uno dei tanti universi possibili ed è quello più accessibile all'uomo e per l'uomo, lontano quindi da ogni verità che l'universo umano voglia raggiungere. E cos'è la verità? Dio? Satana? Il Grande Demiurgo? Solo altri disastri per definirsi uno spazio e un limite. Solo per limitarsi e chiudersi in conferme malcostruite.

D - Grazie per il tuo tempo.
R - Perso, come il tuo o quello di tutti. Ma in un modo o nell'altro va perduto.

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