venerdì 10 marzo 2017

I-taliano orale, e-taliano scritto.



Sebbene con le profezie, in fatto di lingua sia sempre meglio andarci cauti, in molti hanno sostenuto, con cognizione di causa, che sarebbe esistita una terza lingua, traguardata tra quella scritta e quella orale ed effettivamente, il processo ha subito una forte accelerazione conseguentemente allo sviluppo della tecnologia. Già Pestelli nel suo Parlare italiano (1957), concludeva che l'evoluzione della lingua fu causata e che sarebbe stata causata anche successivamente dai progressi ottenuti nella tecnologia, dalla penna stilografica a quella a sfera, passando per la macchina da scrivere finanche ai sistemi stenografici o al dittafono, considerandoli "stimoli allo scrivere avventato". Sembra paradossale ma negli ultimi venticinque anni si è verificato un fatto eccezionale: per la prima volta, la quasi totalità degli italiani parla e scrive quotidianamente in italiano. È clamoroso, se si pensa che l'italiano scritto è stato sempre una lingua tanto forte nella sua codificazione quanto debole nella diffusione, dapprima per colpa dell'analfabetismo e poi a causa dei mezzi audiovisivi. Una volta conquistata la lingua orale (prima della Seconda Guerra Mondiale il popolo era ancora diviso, soprattutto a causa della lingua, poiché ogni regione o provincia parlava solo il proprio dialetto), la lingua nazionale ha conquistato anche quella scritta. Il merito per la prima conquista è della radio e della televisione (la RAI, per la celebrazione del 150° anniversario dell'Unità, mandò in onda uno spot che suscitò non poche polemiche e fu additata di razzismo e strumentalizzazione, poiché essa si scagliò contro i dialetti, sottolineando in modo forse troppo brusco come l'azienda avesse contribuito all'unione del Paese; eppure lo spot aveva un fondo storico di verità); il merito della seconda conquista va, invece, alla telematica.


Se consideriamo la differenza tra oggi e quindici anni fa, ci accorgiamo di come la telematica sia entrata nella nostra vita e, mentre ancora nel 2000 le forme più comuni di scrittura per gli adulti erano gli appuntamenti sull'agenda o la lista della spesa, a sedici anni di distanza la quasi totalità degli italiani possiede uno smartphone, una gran parte utilizza internet e scrive e pubblica sui social. Moltissime persone che fino a vent'anni fa non scrivevano un rigo, oggi producono un'enorme mole di testo digitale. È probabile che quest'accelerazione telematica abbia tuttavia causato non pochi problemi, in particolare riguardo la capacità di comprensione del testo, che resta molto bassa o la mancanza di regole grammaticali o di punteggiatura e di accenti e apostrofi messi alla rinfusa. D'altra parte, la percentuale di chi legge resta sempre molto bassa in Italia e, mentre il digital divide, ossia il ritardo culturale di chi non ha accesso ai mezzi digitali è drasticamente calato, il press divide, ossia la disaffezione dai mezzi di stampa è in forte aumento. Il punto da cogliere non è tanto il supporto su cui viaggi la lingua, sia essa scritta su carta o su e-ink, quanto invece la tipologia testuale. Basti guardare agli SMS, ai messaggi di WhatsApp o a quelli di Facebook e Twitter per capire come il testo scritto sia usato in modo quasi del tutto confidenziale o, in ogni caso, differente dai testi scritti. E la differenza non sta nella presunta vicinanza alla lingua parlata, poiché manca la sintassi tipica dell'orale o nelle soluzioni grafiche adottate (Xké, TVB, ROTFL, ecc...) che fanno comunque parte di meccanismi antichi. Basterebbe tornare all'Ottocento per capirlo, quando l'unico modo per far sentire la propria voce era l'epistola. Non c'erano limiti di caratteri, tuttavia esistevano tariffe postali pesanti a carico del destinatario (Manzoni inviava lettere non più lunghe di un foglio, mentre la famiglia Leopardi infilava messaggi dentro finti plichi di stampe per comunicare con Giacomo). A ciò si aggiungeva la rapidità dei messaggi, poiché era necessario scrivere svariate lettere, se si voleva restare in contatto. Non stupisca quindi che, anche nell'Ottocento si utilizzassero forme abbreviate di testo, tra cui i titolo (Ill.mo per illustrissimo) o frasi iniziali e finali di testo (C. A. per Caro Amico, T. V. per Tutto Vostro, Obbl.mo per Obbligatissimo...) e persino nelle date (8bre, 9bre, Xbre per alcuni mesi) o negli avverbi (Incredibilm.e) o lo "zione" (relaz.e). Qualunque grafia poteva comunque essere usata per appuntare, anche nro e vro per "nostro e vostro". Potremmo anche prendere in considerazione la stenografia e gli altri metodi tachigrafici adottati già nell'antica Grecia e poi successivamente lungo i secoli. Tuttavia, qui preme dire che ciò che rende differenti questi testi non è solo la loro grafia; è la loro frammentarietà, ipotesti, per dirla con Genette, ossia testi che stanno alla base e che possono essere letti o scritti anche da chi non è in grado di comprendere un articolo di giornale. Se ne può concludere che l'italiano digitato è molto differente dall'italiano scritto, una scelta per l'italiano colto ma che, con ogni probabilità non lo è per l'italiano medio aduso, anzi normalmente abituato a quel genere di testo. Pur tuttavia, quello che è accaduto in questo ventennio è stata una pantagruelica crescita dell'italiano scritto, pur con le sue lacune e, non sia per vaticinare uno sviluppo della lingua scritta, ma molto è cambiato e non è detto che non prosegua verso un miglioramento globale.

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